venerdì 13 maggio 2011

BE+ING = TEAR

Tra le vesti del mondo, ho serrato un cerchio. Un conciso cerchio reciso, sfuso recinto. Questo spazio - guglia tridimensionale, è in divenire: è un prospettico covo, cava dal prefisso ristretto. Strina con i contorni di vuoto, l'irretire l'ha avvitato con contrito sviluppo - un bollente abbraccio - convertendolo nella mia propria reggetta da me medesimo posseduta - o spelonca, che dir si voglia. Però non v'abitano topi, nè usurai, nè congeniti cittadini, nè idioti, nè amici. Una scusa secca per l'uso di quattro grafemi: si riassumono cineticamente in quello concludente. Con l'ossame dell'essenza, m'accorgo della barriera. È perpendicolare, è in pendio, uno scivolo più che una scala, ed io, mi trastullo serio serio. I margini del mondo si commutano colla polvere, i batteri fanno gli evangelisti, e vi è un suicidio di atomi; i detriti si fanno muti, s'allacciano come io sono allacciato, sovente più legnoso e/quindi realizzato. Non mi curo più del difuori, il per-sè oramai è  nulla più di un crollo insondato, il liquido dei problemi qui è ampolloso, un'illesa bolla aerea, in vertice al ritroso. Sono soffocato, puro baricentro in moto, circonfuso parabolico - parabola dell'uopo. Il mio sguardo è in curva, viscosa tenaglia, l'attrito è in lingua che s'assottiglia, nel niente si collide il tutto. L'indifferenza alla rinfusa è una grande attrattiva, pure se l'attenzione è lercia come un'insonnia. Purgatorio vile, ammasso gravitazionale, capogiro senza nome! l'orario è in struttura, questo è limbo inane, eppure sapidamente concordante. In fase fedele scruto tutto, dallo scalpo alla rotula, muscoli e mani, cuori e ombre; le fibie le fibie sono zanzare: ed io le loro viscere accelerate. Sembra tutto che scoppi, tra un'inscossa e l'altra, a fare il girotondo, mi devo reggere e tengo per mano me stesso - NON PLUS ULTRA sigillato e limpido in SUPRA del NERO OCEANO. Che il baratro con cui non m'imbatto (che non colgo, piuttosto) derivi dal latino o dal greco o da Platone o da Emerson, suppongo mi sia indifferente. Ora sono un'analisi in corona. Parmenide era un altro.

Sono i potenti della terra, con l'uragano di cielo e fango a spirale isometrica
sono un pozzo che non si trova
sono un riccio scuoiato che ha la pulsazione del cosmo
sono il paradosso che si spiega con se stesso.

Qui e basta, orizzonte d'oro, cristallo pirolitico, avvenire in boccio. Sono indefinitamente definito, qui e basta, da ora, da sempre, da mai.
L'inflessibilità è un mio diritto, dove io tocco lo premo, ogni punto è un diritto.
Qui, l'unica insufflata, la camera evolutiva curiosamente ambrata - mio interesse mia spada.
Le macchie si snodano infrante, il puzzo mi lambisce come un fantasma, tutto cade come anidride carbonica, alonato come una fontana di sangue. Calato come una corda, nel bel mezzo dei rifiuti e dei languori, la mia pazienza centesimale è tutt'una rorida radiazione abbronzante, che mi smussa simile ad un arco marcio che deve prendere la mira.
Ora gli escrementi si diluiscono con le lacrime, una conglobazione impeccabile. Il naso contratto e gli occhi madidi - il pianto pendulo mi danza intorno, accanto alla neve, polare al tuorlo d'uovo.