martedì 14 giugno 2011

Dolentissimo Dio

Heii??? se ci sei io ci sono. Non si tratta d'arroganza, si tratta di sporco. La fogna illibata che è il mondo.
Noi. Una voragine nuda: dalla sua perpendicolarità si tuffa frangendosi nei nostri occhi, come cappio di perle o speranza curiosa. In ogni caso, la mia avversione combacia con la tua, la nostra tasca d'indecifrabile aequo con la vostra spinta in radice. Il primo grado, un effluvio manesco. Per noi, ingorgo senza tempo, il principio primo è la condizione per ogni sbeccata, ogni pacchetto di saliva raggrinzito. L'altro di ieri era il vaso di domani, ogni intesa è il deja-vù dei poveri, polsi e fegati si premono ai colli dal colore ricco, dall'ormeggiare protensivo. Prescienza è il limbo della forca. Si eviti di guardare sotto, grazie. Panni sifilitici - tepido afrore da torcere bacini, o squagliare nell'aulenza affossata anulari in visibilio perduto. Aria, aria! aprite i cancelli! squarciate i cancelli viventi! le inferriate color aurora ingioiellate di rugiada!... La nostra è una moltitudine di narici, crocifisse dal calo di enzimi, onesti fallimenti. Non abbiamo molto a cui concedere il nostro affanno, l'arrovello verte alla spezzata delle tempie, una follia fatta a frequenze di luce. Nel forno. Si puntino le sue interiora al verbale del profitto, almeno una bolla di gas empireo. Ma. Niente. Ed inferiormente oltre colpiscono sbuffando, uniti come siamo dall'anello della scorza. Grazie, ne volete? No, è intrasfigurabile. Gettate via. Gettatelo oltre il bordo di schiamazzi e colonne di fiato. Il tempo si è scheggiato una volta di troppo, non l'abbiam visto mai veramente passare, mai incrociato, nella sua abiura dei popoli - è lui che ci sfila, inesistente com'è. In questo vuoto astrale, l'unica cosa che ci mantiene è la sideralità del paradosso più longilineo. Ma il fetore - scabbia inceneritrice - ci contamina, è una convizione la sua, la persuasione che sbatte i timpani ai livelli umili. Ma noi? a ulteriori argomentazioni abbiam profuso i corpi celesti, rossi, magenta, colori senza nome, privi di spessore. La brinata vergine, gorghi ammantati d'incendio, bufere incalcolabili, slittanti nei motori primi, quei canali del primo grado. Sporcizia; granuli di cloaca, discarica di acini, semi invertebrati. Si ripiegano su se stessi una dozzina di volte, sbattendo gli sguardi stretti nei riguardi di chi li ha commentati. Schiocchiamo il ripensamento. La rimembranza - vero sacrilegio. Eco eco eco. Ora siamo noi lo schiavo grezzo e sunto, asservito dai misfatti, complotti di sfiducia. Quella è la vibratile cannibale, che senza parto, si sa, si schiude prima del ricordo. Ora il mefitico è inglobato nell'estremo, ciclopica e salmastra concatenazione; strina schizzando lingue di teppa, feccia che viene risucchiata prontamente dal nostro ritorno in sequenza, imburrando di sfregio i contorni d'ogni struttura. Mistificatore! complesso di menzognillusioni! Dubbiosi siamo dubbiosi: le nostre credenziali mai nessuno che le ha guardate. Medesimi nella rotta, vendemmia di tortura, quando il capriccio - callido in proporzione inversa - genera vendetta.

- l'assioma di Dio è la perfezione rapportata alle opere sue ultimate -




Una volta raggiunta la massima positività, non potrà che capitare qualcosa di peggiore.
Fango sulle suole ombreggianti, ingombranti nelle traiettorie dell'eterno della loro misura masochista.
Interrogato nella solitudine universale, in questa epoca, corridoio di spazio e vuoto, che giostra si potrà sperimentare? null'altro che un fantasma. Quasi ci si dovesse mettere alla prova. Ci può essere creazione pura e perfetta da un meticcio simile? e le cose sono in divenire di vendetta.
Almeno, se io fossi Dio, le cose starebbero in questa maniera; anoressica, anoressica - rustica e granita per la sacca di pelle morta, ispida come il rimpianto che fu. Ecco perchè tutti si possono ricoprire delle feci di creatore.