Nell'ineffabilità d'un lasso di significato, è come far scontrare il cranio abbiente con una realtà misera. Un sospiro colmato di fantasia, di veggenza, di prospettiva, viene a trovarsi secco e diluito nella prospettiva altrui. Tali sono concezioni atipiche, irreali: l'io nostro è analogo ad un viandante cadaverico, probabilmente già carico di polvere, già svuotato di tessuti, già schernito, ma non umiliato. Non vedo l'aborto come un'umiliazione, piuttosto come un fortuito accreditarsi al vigore del paradosso. Lo spasmo compenetra il languore, l'istante speculativo cede il passo ad un baleno mistico, una speranza si propone a pura retorica. E cosa perdura nel giaciglio di cavi marmi? Un poderoso spazio. Esso s'apporpia dell'essere nel momento del suo esser concepito. Non nato, concepito. E' allora che ogni idea osa, e si sperimenta nella fisicità, nello scontro, nel precettismo. Scava un baratro nella volta originaria, s'assurge un rogo d'aria, un teorema di tempo, una scappatoia di significato. Tale prospettiva impregnata d'elementare creatività - probabilmente perchè intesa - è nel corso di verità essenzialistiche un'altra mancanza d'originalità cosmica. Qui invero è concentrato ogni contrasto, ogni desiderio, ogni efferatezza, ogni godimento, ogni illusione. In questo istinto perimetrico della stabilità esistenziale si sonda ciò che l'esistere creativo non foggia: un'utopia ludibriistica. Insuffla la contraddizione del principio, che contraddizione non è. Difatti le realtà che tendono a collidere sfrecciano come grida di luce su verticalità differenti, ove solo la meta è unica per tutte queste componenti. una volta incrociate al traguardo esse annullano il loro ostile usurpatore, in quanto ogni realtà sensitiva ne usurpa sempre un'altra. E pure nella condizione in cui ne sussistano più di una simultaneamente, esse non si sgozzano, non si frantumano, ma convivono, apportando sfumature percettive disambigue ed elevando l'essere ad uno stato di maggiore completezza. Per taluni significati, un paradosso comunemente inteso non può sorgere tra le brame e i rovi di un uomo. Il paradosso si forgia solamente nella circostanza in cui un uomo viene a divergere con un altro uomo. Allora il terriccio si carica, l'alito nei nembi vieneo trafitto, e ogni zolla o pozzanghera raggelata di metropoli viene scossa come ghermita di comete. No, in realtà tutto resta immobile, tranne i terricci interni, tranne le metropoli della ragione esistenziale. La collisione è sempre parziale, velata da sregolatezza tante quante le probabilità, e le maglie dell'essere sembrano sfaldarsi. Ma è tutto lì. Un uomo cosa può scorgere e contemplare tanto avidamente in un suo prossimo? Una tensione intrinseca, una sceneggiatura amatoriale, una danza ridondante. Una pura sfida, che con il suo spazio ed il suo teorema viene nell'arena trascurata con noi. Entrambi stipati, entrambi con rivoli si sangue, entrambi con la lancia o con il sistro, e l'effrazione è sicura, pure se ignorata. Non sono forse come le sensazioni percettive? Tutto è un dominio soggiogato, un'equilibrio insoddisfatto e la collisione è solo apparente. L'illusione è un marzolino immoto e prescritto, ribelle e indigente nello sguardo aromatico della realtà. Uno sbadiglio si cammuffa da affanno, un arco culmina nelle impronte di un perdono, di una vendetta, oramai meno che casti o schietti. Schiavi prosperosi.
Ecce potenziale potenziale potenziale
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