Mi trapiantavo come cenere sulla carta e, persa la bussola ho bussato alle care porte dell'inerzia. Percorro verticalità aeree come un verme dell'inferno e ora, come spesso accade ai miseri proverbiali dalle fittizie esperienze, mi rincorro da solo. La megalomania non è un parossismo e il mio tedio clorofillanio s'è degnato - svuotato di pudore o di malizia - a lambire questo stretto mare fantasma - questo forum, questo scampo della concettualità della forza.
Tutto è debolezza. - Il tragitto è incendiato da un vespro che slega il sofisma e l'autorogna (non perchè vada in auto, si intenda) che, a quanto pare a detta di molti, si traduce in prestanza equilibrata - recintata dai paletti cono-arancioni al fine di stipare la prepotenza; ma poi si sa, quei paletti cono-arancioni vengono rasi come da uno tsunami.
Per quanto mi riguarda, me ne andrò molto presto.
Ho riassunto circolazioni troppo teoriche, pardon.
Passando dal 99% della pleonastica irrisione a un buon 80%, restringiamoci nelle cose un pò più utili: sono un maschietto, 19 anni (si, li ho imparati) e i carnefici sono i miei più fidati spasimanti; Togainu no chi è una delle mie più rincuoranti condanne.
Cavolo sono sempre in ritardo nei miei teoremi personali... per esempio ce ne vorrà prima di prendere in mano l'Ulisse di Joyce... se qualcuno l'ha letto, che mi dia un plausibilie parere, che sono curioso, grazie.
In sintesi sono un piccolo ukettino in cerca del suo Akira personale (dove io starei per Rin); spero non mi andrà bene cercare anche un Arbitro (ove io sarei Kau) anche se confesso, ci faccio molti pensierini...
ciau a voi la palla piena di Line.
mercoledì 30 marzo 2011
domenica 13 marzo 2011
I manichini
Flash di sbocco - rete di sguardi.
Ti guardano, misteriosi come la pece del paradiso
ti scrutano con maschere da spauracchi
contemplano, inquadrano, pietrificano
più scherzosi di clown antichi, col trucco e i capelli irti.
Fantocci delle ombre, dove le ombre sono di paglia,
fossilizzano in un istante la sensazione del pudore,
prudere di una carcassa immoto
i volti scolpiti nel secolo - una razza che mi ha fatto scordare -
il cosmetico si sta liquefando e sono difficili, tanto difficili.
Il punto di neve è un legamento
sortilegio sacrilego nel lago di lava nera
in cui ci perdi le gambe, poi la testa.
Corvini e mori hanno volti impersonali
l'espressione proverbiale di tessuto, freddo
squadro bianco, senza organo in pareti tremanti.
Cento volti d'eremita - casti in un dialettico silenzio
vergini riparati da una vetrina
sono riconosciuti operai-dandy dai labbri serrati.
Ancora un sorso e si possono portare a letto
nel gesso nel rigido disprezzo
quel decorso esposto che ti ride dietro.
Se li sviti - sono intercambiabili - puoi slegargli un osso
un muscolo strinato dall'inerte testo
antropomorfo diletto, clonazione del fiato
che si stende sul tuo materasso deserto.
Nel pallore dell'acconciamento
- senza frattaglie una fattura, con pupille di merlo -
sono ammassati nel gioco del buio, d'un Oviesse riassemblato,
quando la duplicazione è un risarcimento
questa persona in produzione mi si secca dentro
senza scoppio
senza fango o fremito
ma solo con un braccio di benvenuto bianco.
Ti guardano, misteriosi come la pece del paradiso
ti scrutano con maschere da spauracchi
contemplano, inquadrano, pietrificano
più scherzosi di clown antichi, col trucco e i capelli irti.
Fantocci delle ombre, dove le ombre sono di paglia,
fossilizzano in un istante la sensazione del pudore,
prudere di una carcassa immoto
i volti scolpiti nel secolo - una razza che mi ha fatto scordare -
il cosmetico si sta liquefando e sono difficili, tanto difficili.
Il punto di neve è un legamento
sortilegio sacrilego nel lago di lava nera
in cui ci perdi le gambe, poi la testa.
Corvini e mori hanno volti impersonali
l'espressione proverbiale di tessuto, freddo
squadro bianco, senza organo in pareti tremanti.
Cento volti d'eremita - casti in un dialettico silenzio
vergini riparati da una vetrina
sono riconosciuti operai-dandy dai labbri serrati.
Ancora un sorso e si possono portare a letto
nel gesso nel rigido disprezzo
quel decorso esposto che ti ride dietro.
Se li sviti - sono intercambiabili - puoi slegargli un osso
un muscolo strinato dall'inerte testo
antropomorfo diletto, clonazione del fiato
che si stende sul tuo materasso deserto.
Nel pallore dell'acconciamento
- senza frattaglie una fattura, con pupille di merlo -
sono ammassati nel gioco del buio, d'un Oviesse riassemblato,
quando la duplicazione è un risarcimento
questa persona in produzione mi si secca dentro
senza scoppio
senza fango o fremito
ma solo con un braccio di benvenuto bianco.
venerdì 4 marzo 2011
Esistenzialismo puro ovvero horror vacui
Ora, che il mondo ci appaia una fede, questa è una nozione surrogata; le colonne vive che tengono in piedi la fantasia sono proprietà del reale, un sillogismo trascurato e mediocre. La fantasia non è altri che la motrice dell'effettivo: si può trarne la radice di una profusione, un quantificatore che si pone come cuscino o meglio come lama tra due realtà, una conoscitiva, l'altra invalicabile. Il mondo del concreto è tale, un solido plasmato a fortezza, ciò che gli si impone è lo scalpo dell'irrazionale, un ente tangibile della fede, che comprende in sè costituenti intelligibili, ma del tutto stranieri ai sensi della realtà "che è sondabile", pure se non è sondata. I sensi dunque sono un patrimonio di soluzione, la scusa che ha la vita per professarsi. Le realtà sono sempre istituzioni finite, pure per lo spazio - l'infinito, pure per il tempo - l'eterno. Questo pandemonio che contempla il microcosmo dell'esistere è invece una costituzione che supera la realtà, andando a sfociare nell'indifferenza cosmologica. È l'ignorato della realtà, l'unico spazio che non è soggetto a questa, siffatto insieme cosmopolita. Il suo surrogato però unge un accidente proprio dell'uomo: l'immaginazione, la destinata sconfitta dell'essere umano - ciò che per definizione è sempre effetto, ciò che detiene pura inaccessibilità, perspicua solamente agl'arti degli apostoli del futuro della dilatazione. Lo spazio di cui andavo professando non è più che fede, e tale si prostra rabbrividendo, ma se una dei suoi principi è la marcia esistenza, questa si proietta solamente perchè vi è un sostituto nello spazio ignoto dell'immaginazione umana - atto da far bastare che in effetti sussista. Il suo succedaneo più solito e più inflessibile è l'incognita esistenziale, il puro ignoto. Invero, l'ignoto altri non è che il nulla per la coscienza soggettiva, ma che occupa un posto limitato in quella oggettiva. L'assurdità dell'esistere, quella precarietà che agli occhi appare come un fallimento, ma che in veste oggettiva non è neppure quello, è una debolezza effettiva, che mina le basi della realtà che è. Ciò che non è, è proprio quello su cui può aver fallito lo scopo dell'esistere, ciò che non è, ciò che l'io soggettivo non riconosce, l'ignoto, la sostanza del nulla. Il nonsense dell'esistere non è propriamente una falla se rapportata al suo scopo - con il visore dell'umana stirpe, in quanto il nonsense stesso può essere trattato come uno scopo, anzi, si potrebbe dire che è lo scopo di non avere scopi. Ma in verità è meno che mai questo: lo scopo che si può accostare al non-scopo è puramente una interpretazione della logica umana che - in termini effettivi di natura - non esiste; un ideale della coscienza a posteriori, un adattamento condizionante. Quale esegesi migliore da accostare al terso ignoto? Ma si parla dell'ignoto sondabile o dell'Ignoto inespugnabile pure per i sensi, tale dogma precluso? Le proprietà dell'assurdo sono predicati di ciò che esiste, di ciò che è possibile verificare; le loro affinità con il nulla sono puramente di ordine interpretativo di una speculazione per ora unicamente umana, in quanto privi di finalità oggettiva; ma ciò che è, per definizione è ciò che esiste, o almeno ciò che pare esistere per-sè, ovvero un rimpianto assoluto. Ciò che è fede è - dunque esiste - solo per il soggetto - tramite l'immaginazione, come s'è detto. In sostanza, l'Ignoto è solo per il soggetto, mentre l'ignoto è una affermazione o una negazione assoluta dell'oggetto, in quanto esiste qualcosa contenuto nell'ignoto o non esiste qualcosa contenuto in esso, ma esiste solo tale realtà. L'assurdità fondamentale è pura illazione, avvertita unicamente dal per-sè. e non dall'in-sè. Ergo il senso dell'esistere è rasoterra con quello dell'Ignoto superiore. Ecco come il solo senso di esistere sia un dogma insondabile, precluso da persuasioni e rimorsi su un selciato coperto da un sole deserto che non si avvederà mai.
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