Flash di sbocco - rete di sguardi.
Ti guardano, misteriosi come la pece del paradiso
ti scrutano con maschere da spauracchi
contemplano, inquadrano, pietrificano
più scherzosi di clown antichi, col trucco e i capelli irti.
Fantocci delle ombre, dove le ombre sono di paglia,
fossilizzano in un istante la sensazione del pudore,
prudere di una carcassa immoto
i volti scolpiti nel secolo - una razza che mi ha fatto scordare -
il cosmetico si sta liquefando e sono difficili, tanto difficili.
Il punto di neve è un legamento
sortilegio sacrilego nel lago di lava nera
in cui ci perdi le gambe, poi la testa.
Corvini e mori hanno volti impersonali
l'espressione proverbiale di tessuto, freddo
squadro bianco, senza organo in pareti tremanti.
Cento volti d'eremita - casti in un dialettico silenzio
vergini riparati da una vetrina
sono riconosciuti operai-dandy dai labbri serrati.
Ancora un sorso e si possono portare a letto
nel gesso nel rigido disprezzo
quel decorso esposto che ti ride dietro.
Se li sviti - sono intercambiabili - puoi slegargli un osso
un muscolo strinato dall'inerte testo
antropomorfo diletto, clonazione del fiato
che si stende sul tuo materasso deserto.
Nel pallore dell'acconciamento
- senza frattaglie una fattura, con pupille di merlo -
sono ammassati nel gioco del buio, d'un Oviesse riassemblato,
quando la duplicazione è un risarcimento
questa persona in produzione mi si secca dentro
senza scoppio
senza fango o fremito
ma solo con un braccio di benvenuto bianco.
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